Weekend di marzo

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Weekend di marzo

Weekend di marzo

Carissima, pochi oggi si fermano a riflettere su se stessi, sul senso della vita e sugli immensi doni di Dio. Perchè non scegli anche tu di dare un pò del tuo tempo per ascoltare quella parola che il tuo cuore attende da sempre?

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Quaresima

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quaresima 2014

Inno  (Germagno)

Oggi la cenere
ci riconduce alla terra
perché gli occhi
si aprano al cielo.
Oggi la cenere profuma il capo
per purificare il cuore.
Oggi al pane si mescola cenere
per render più vero il cammino.
Cristo è nel deserto:
è il tempo del digiuno;
Cristo veglia nella solitudine:
è l’ora della preghiera;
Cristo sale a Gerusalemme:
stringiamoci nel cammino
d’amore
pregustando la Pasqua.

 Video Quaresima

La fede radice di ogni bene

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La fede è la radice di ogni santificazione e di ogni apostolato

untitledA conclusione dell’Anno della fede (24 novembre 2013) e in preparazione alla festa liturgica del Beato Giacomo Alberione (26 novembre), è sembrato opportuno selezionare nove testi (da destinare a nove giorni di preparazione e di riflessione) dagli scritti del Fondatore sulla fede perché vengano utilizzati all’interno dei momenti di preghiera delle comunità: novena, liturgia delle ore, adorazione eucaristica. Inoltre, attraverso la preghiera per la canonizzazione del Fondatore sarà possibile consolidare la nostra fede e i legami di appartenenza alla mirabile Famiglia Paolina ed essere confermati nella ricerca di nuove vie di Apostolato per un efficace annuncio del Vangelo. Noi crediamo, ma certamente la nostra fede non è ancora perfetta. Occorre pensare che non sempre il Signore concede le grazie che gli chiediamo per la vita presente. Concede però sempre le grazie spirituali che noi chiediamo: o quelle o altre che egli vede più utili all’anima nostra. Le grazie materiali le concede solo in quanto vede che contribuiscono al bene della nostra anima. La fede ci fa vedere la vita nel suo giusto senso; ci fa credere nel Paradiso e ce ne mostra i mezzi: la preghiera, la buona vita, la corrispondenza alla nostra vocazione, l’adempimento della nostra missione.
La fede ci fa pensare in ordine all’eternità; ci fa trovare continui mezzi per tesoreggiare per la vita eterna; ci fa capire che cosa sia il sacerdozio, la dignità e i doveri: che cosa sia lo stato religioso, perché sia stato istituito e da chi fu istituito.
La fede! Essa riempie di letizia i nostri giorni, ancorché in questi noi incontriamo difficoltà, tentazioni, lusinghe.
La fede! Essa ci fa conoscere quanto siano misere le parole dei mondani e quanto invece sia preziosa la scienza del Vangelo. Occorre metterci davanti alle verità eterne, alla duplice eternità. Vivere di fede significa avere presenti queste grandi verità e ordinare tutta la vita al suo fine. (Pr 1p. 167)  Leggi tutto… 

 www.100anni.alberione.org

Esercizi del Papa ad Ariccia

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Papa “trasferisce” ad Albano esercizi spirituali Pasqua con curia
Lettera di invito a capi-dicastero partiti ieri- Vedi Video don Sassi

Papa Francesco farà gli eserciza ad Ariccia,Casa Divin Maestro

Papa Francesco farà gli eserciza ad Ariccia,Casa Divin Maestro

Città del Vaticano, 17 ott. Papa Francesco “trasferisce” gli esercizi spirituali con i capi-dicastero della Curia romana dal Vaticano ad Albano.
Bergoglio terrà i suoi primi esercizi spirituali di Quaresima, dal 9 al 14 marzo 2014, ad Albano, presso la Casa Divin Maestro dei Paolini. Gli esercizi saranno predicati e guidati mons. Angelo De Donatis, parroco di San Marco al Campidogio.
La notizia, anticipata dal sito spagnolo di Radio Cope, è stata confermata dalla sala stampa vaticana, che ha sottolineato che sia tipico dei gesuiti svolgere gli esercizi spirituali in un luogo diverso da quello in cui si abita. La lettera di invito per gli esercizi spirituali – che con gli ultimi Papi si sono sempre svolti in Vaticano – è stata iniviata ieri.

Carissimi,

                    penso che siate già venuti a conoscenza della notizia: il prossimo anno, Papa Francesco (lui e tutta la curia cardinalizia) per i tradizionali loro Esercizi (inizio quaresima), ha scelto la nostra Casa paolina DIVIN MAESTRO ad Ariccia (Roma)…Volevo comunicarvi che questa mattina, giovedì 17 ottobre, ho avuto il dono di concelebrare con papa Francesco nella Cappella di Santa Marta: in allegato trovate l’omelia perché veramente molto provocatoria e stimolante per noi preti…Avevo fatto richiesta per tutti i Consiglieri nazionali IGS  (Consiglio convocato per le giornate 16-17 ottobre) di celebrare con lui, ma hanno concesso solo per il sottoscritto e uno dei consiglieri  (la sorte è caduta su don R. D’A)… Ho fatto e farò ancora richiesta per altre occasioni d’incontro dei membri IGS, ma è molto difficile: pensate che hanno ricevuto finora ben 900.000 richieste…  Sapete che al termine della Messa, incontra tutti e ascolta con attenzione ciò che ognuno sente di comunicare e gli ho detto:
“sono delegato dell’IGS, Istituto secolare per preti diocesani. A nome di tutti i membri sono lieto di esprimerle vivissima gratitudine per gli stimolanti messaggi che sa rivolgere con efficacia e testimonianza di vita non solo a tutto il popolo di Dio, ma anche a noi preti: grazie perché ci fa molto bene. Mi permetto umilmente di rivolgerle un invito a parlare, quando ne avrà occasione, dell’importanza per i preti diocesani di professare i Consigli evangelici, valorizzando i vari carismi e spiritualità della Chiesa come quella dei gesuiti, dei paolini… Mi ha risposto brevemente: “hai ragione: è importante e sono saggi quei preti diocesani che vogliono arricchire la propria vita personale, pastorale e apostolica aprendosi alle varie e ricche spiritualità nella Chiesa…”.
Ringraziamo il Signore per queste  parole d’incoraggiamento… Prossimamente verrete informati dei lavori del Consiglio IGS…

Auguro ogni bene
don E.

Rischio per i cristiani chiave in tasca e porta chiusa (omelia)

Istituto Gesù Sacerdote

 

 

SS.Nome di Maria

SS. Nome di Maria

SS. Nome di Maria

La devozione popolare al nome di Maria risale alla metà del XII secolo, anche se la festa riferita a tale nome venne propriamente istituita solo a partire dal 1513 da Papa Giulio II che, da principio, la concesse unicamente alla diocesi spagnola di Cuenca: celebrata dapprima il 15 settembre e spostata poi al 17 dello stesso mese, venne estesa all’intera Spagna nel 1671 e poi definitivamente a tutta la Chiesa a partire dal 1685, ad opera di Papa Innocenzo XI.

La festa in questione voleva essere un rendimento di grazie a Maria per la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi, che ebbe luogo il 17 settembre 1683. Il Santo Padre Innocenzo XI, infatti, voleva ringraziare la Vergine Santissima per la grande vittoria cristiana dinanzi a Vienna, la città capitale dell’impero, che rischiava di essere travolta dalle truppe musulmane. Come un terrore per i loro nemici piombarono i cavalieri di Cristo sui Turchi esclamando: “Gesù!” “Maria!”, e con il nome di Gesù e di Maria sulle labbra vinsero i nemici del cristianesimo.
Il Santo Papa Pio X portò infine la memoria del Santissimo Nome di Maria al 12 settembre, giorno in cui liturgicamente è tutt’oggi festeggiata come memoria facoltativa.

Significato del nome

Il nome di “Maria” è forse il più comune al mondo: tradotto nelle varie lingue, viene dato alle bambine e a volte, come secondo nome, anche ai bambini. Moltissimi santi, perché la loro vita fosse ancora più intimamente unita a Maria o semplicemente in ossequio a Lei, hanno scelto il nome di Maria o lo hanno ricevuto dalle loro stesse madri il giorno del battesimo: Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Massimiliano Maria Kolbe, Santa Margherita Maria Alacoque, S. Giovanni Maria Vianney, San Luigi Maria (Grignion) da Montfort, Sant’Annibale Maria Di Francia …
Qual è dunque il significato di un sì sublime nome? Oltre 67 interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria nella storia, secondo che fu considerato di origine egiziana, siriaca, ebraica o ancora nome semplice o composto. Di tutte queste ipotesi non si può con certezza affermare quale sia quella giusta: sembra quasi che la Provvidenza ci abbia volutamente lasciati nel dubbio perché nel nome di Maria possiamo trovare nel contempo tutti i significati che l’analogia della fede ci suggerisce. La teoria più  accreditata fa derivare Maria dall’ebraico Miryàm, come composto della parola egiziana mry (che vuol dire “amata”) e della parola Iam (che indica “Dio”), da cui nacque Miryàm, cioè “amata da Dio”.
Le quattro principali interpretazioni riportate dagli scrittori antichi sono invece, a detta di S. Alberto Magno (+ 1280), le seguenti: “Illuminatrice”, “Stella del mare”, “Mare amaro”, “Signora” o “Padrona” A) “Illuminatrice”: perché Vergine Immacolata che l’ombra del peccato mai offuscò, la “Donna vestita di sole” (Ap 12,1) che ha dato al mondo La Vera Luce; B) “Stella del mare”: perché stella polare, la stella più brillante che aiuta gli uomini come naviganti a raggiungere la Meta; C) “Mare amaro”: nel senso di madre dall’amore incommensurabile come le acque del mare che, per aver sofferto dolori indicibili sotto la Croce del Figlio, pur di salvarci rende amari per noi i piaceri della terra che tentano di ingannarci e farci dimenticare il vero e unico Bene.
Le gocce d’acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell’anima benedetta di Maria, dal momento dell’Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in Cielo (S. Luigi Maria da Monfort, Vera Devozione, 23: “Dio Padre ha radunato tutte le acque e le ha chiamate mare, ha radunato tutte le grazie e le ha chiamate Maria”); D) “Signora” o “Padrona”: in quanto a pieno titolo Regina e Sovrana del Cielo e della terra, mediatrice e dispensiera di tutte le grazie perché Corredentrice dell’umanità, associata al Figlio in tutti i suoi misteri. Il nome presso i Giudei aveva un’importanza grandissima e si soleva imporre con solennità. Sappiamo dalla Parola che Dio stesso interviene qualche volta nella designazione del nome. L’angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni (Lc 1,13) e sempre lui, spiegando l’Incarnazione del Verbo, dirà in momenti diversi a Maria e a Giuseppe: “Lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31; Mt 1,21). In verità tutta la Scrittura è intrisa di espressioni che lasciano facilmente intuire quanto importante e degno di nota sia il nome davanti a Dio: “Renderò grande il tuo nome” (Gen 12,2); “non sarai più chiamato Abram, ma il tuo nome sarà Abramo… quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai; il suo nome sarà, invece, Sara” (Gen 17,5.15); “non nominare il nome di Dio invano” (Es 20,7); “ti ho chiamato per nome: tu sei mio!” (Is 43,1); “come il tuo nome, o Dio, così la tua lode giunge fino alle estremità della terra” (Sl 48,11); “rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,20); “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18); ecc.
Si può quindi verosimilmente pensare, pur non avendone la certezza che ci viene dalla Scrittura, che Dio in qualche modo sia intervenuto anche su Gioacchino e Anna perché alla Santissima Vergine fosse dato il nome di “Maria” richiesto dalla sua grandezza e dignità. Quando Egli le si presenta nella persona dell’Arcangelo Gabriele, non si accontenta, però, di rivolgerle il saluto con il suo nome proprio, vuole trovare un’espressione plastica che l’accarezzi in modo così sublime da farle figurare fino a che punto di lei si fosse compiaciuta la Santissima Trinità. Per questo le dice: “Rallegrati, piena di grazia!”. Sembra quasi che a Dio piaccia “giocare con i nomi” e che a questo “gioco” la Vergine ci stia: Ella non risponde alla Sua elezione né con il nome che le hanno dato i suoi genitori (Maria), né con quello con cui l’ha appellata Dio stesso (Piena di grazia) ma con l’unico nome che per la sua grande umiltà sentiva più confacente al Mistero che stava compiendosi: “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,26)*.

Invocare il nome di Maria

Il nome che Dio pronuncia è talmente legato all’essere, che Dio chiamando le cose con il loro nome, le chiama dal loro nulla all’esistenza («Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» Gen 1,3; «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza…”. Dio creò l’uomo a sua immagine…» Gen 1,26-27; ecc.). L’uomo, ovviamente, non ha la medesima capacità di Dio di ‘produrre’ con il solo pensiero o con la sola parola le cose, però ha la capacità di evocare Dio e la realtà stessa di Maria e dei Santi.
L’uomo, cioè, quando invoca il nome di Maria, il nome di Gesù, il nome dei Santi del Signore, deve farlo sempre con la massima serietà, ricordandosi che il nome non è mai isolato, che parlando si evoca la stessa realtà a cui ci si riferisce con le parole. Con quali nomi sulle labbra i martiri affrontavano la morte e con quali nomi sulle labbra i campioni della cristianità affrontavano le schiere degli infedeli? Nel nome di Gesù, perché in questo nome c’è la nostra salvezza (Fil 2,10: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra”).
E nella sua provvidenza Dio ha voluto che risuonasse sulla bocca dei fedeli anche il nome  di Maria perché Maria – come amava dire il nostro Fondatore – non attira mai a sé ma “dà sempre Gesù, come un ramo che sempre lo porta e lo offre agli uomini”. Dice San Luigi Maria Grignion de’ Monfort, il grande innamorato della Madonna: «Maria è la meravigliosa eco di Dio. Quando si grida: “Maria!”, lei risponde: “Dio!”». Dante Alighieri mette in bocca a Buonconte di Montefeltro, valoroso e impavido combattente in pericolo di dannazione eterna, il motivo della salvezza insperata della sua anima e cioè l’aver invocato, un attimo prima di morire, il nome di Maria: “Perdei la vista, e la parola; / nel nome di Maria finii, e quivi / caddi, e rimase la mia carne sola” (= più non vidi, più non potei parlare; spirai invocando il nome di Maria, e qui caddi e rimase il mio corpo privo di vita) (La Divina Commedia, Purgatorio V, 100-102).
San Bonaventura sostiene che tutti i fiumi di grazie che hanno avuto gli angeli, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, sono “confluiti” in Maria, il mare di grazie. E Santa Brigida aggiunge: “Ecco perché il nome di Maria è soave per gli angeli e terribile per i demoni”. San Bernardo invita ogni uomo, qualunque sia la situazione dell’anima e del corpo in cui imperversa, a invocare senza timore il nome di Maria per trovare rifugio sicuro: «Chiunque tu sia che nel flusso e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo alla tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall’astro splendido, se non vuoi essere inghiottito dall’uragano. Se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell’ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e  invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive della carne, scuotono la nave dell’anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l’enormità del delitto, vergognoso di te stesso, tremante all’avvicinarsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nell’angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria. Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assicurarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, protetto da lei non avrai paura, guidato da lei non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva sicuro alla meta. Sperimenta così in te stesso il bene stabilito in questa parola: “il nome della Vergine era Maria”» (Lc 1,26).

“Annunziatine”: il più bel nome

Particolare brivido dovrebbe attraversare noi Annunziatine il giorno della festa del Nome di Maria o tutte le volte che semplicemente lo sentiamo pronunciare e lo pronunciamo noi stesse, noi che per una delicatezza tutta particolare di Maria, riceviamo con la professione religiosa il suo stesso nome per essere prolungamento del suo “Sì” nell’oggi della Chiesa. Dice don Alberione: «Perché chiamarsi Annunziatine? Ha una ragione questo nome? Non è a caso. Il fatto dell’Annunciazione e, quindi, dell’Incarnazione del Figlio di Dio quando Maria disse: “Fiat mihi secundum Verbum tuum”, è il più grande fatto della storia, perché allora comincia la nostra redenzione.
Perciò Annunziatine vuol dire stare nel centro della storia e nell’inizio della redenzione. È il più bel nome». Possa ciascuna di noi, nel giorno dell’Incontro, leggere sul volto di Maria la soddisfazione di una Madre che trova corrispondenza tra il suo soavissimo nome e la vita da noi condotta.

M. T. A. (Imsa)

Lumen Fidei

Papa Benedetto XVI e Papa Francesco

Papa Benedetto XVI e Papa Francesco

LETTERA ENCICLICA
LUMEN FIDEI
DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE E A TUTTI I FEDELI LAICI  SULLA FEDE.

1. La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: « E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulge nei nostri cuori » (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. « Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire ».[1] Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, « i cui raggi donano la vita ».[2] A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: « Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? » (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Leggi tutto e scarica il testo in pdf dal Sito vatican.va

Testo anche in File Epub

 

Pubblicato nella papa

Corso Carisma

Carisma: Conclusione del Corso di Formazione sul Carisma 2012-2013
Scritto da P. Gabriel A. Rendón Medina, SSP

Don Sassi e Giovanna

Don Sassi e Giovanna

Dopo aver presentato alla Direzione Generale i propri elaborati finali  i partecipanti al Corso di Formazione sul Carisma della Famiglia Paolina 2012-13 hanno concluso il proprio percorso di studio il 31 maggio alle ore 9.30, nella sottocripta del Santuario Regina Apostolorum, con l’eucaristia presieduta dal Superiore generale della SSP don Silvio Sassi e concelebrata da numerosi sacerdoti paolini. Alla celebrazione hanno partecipato le Superiore generali, Sr. Antonietta Bruscato, fsp, e Sr. Marina Beretti, ap, e un folto gruppo  di consorelle e di confratelli della Famiglia Paolina. Alla fine, Sr. M. Celine Cuhna, pddm, a nome di Sr. M. Regina Cesarato, pddm, ha rivolto il saluto finale.
Dopo l’Eucaristia tutti si sono radunati per condividere un rinfresco e un caloroso  momento di saluti e auguri di buon ritorno alla propria circoscrizione tenendo presente  l’immagine di Maria nel giorno della Visitazione.
Il Corso di Carisma 2012-2013 ha concluso la prima tappa, adesso i 18 partecipanti hanno di fronte la  sfida di “ravvivare il dono ricevuto” nella missione che i loro superiori daranno a ciascuno.

dal Sito –  paulus.net

vedi anche. daitettinsu

Il web

Il Web: la nostra agorà e il nostro aeropago

comunicazioneUna tra le sfide più significative dell’evangelizzazione oggi è quella che emerge dall’ambiente digitale. È su questa sfida che papa Benedetto XVI ha scelto, nel contesto dell’Anno della fede, per la 47a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il tema: Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione.
Come ogni anno il tema di questa Giornata caratterizza le iniziative del Festival della Comunicazione che si svolgerà, in collaborazione con Ia diocesi, dal 5 al 12 maggio 2013 ad Avezzano (AQ), coinvolgendo anche le diocesi limitrofe, mentre in tutto il territorio nazionale saranno promosse, in collaborazione con gli Uffici delle Comunicazioni sociali diocesane e dalle Librerie Paoline e San Paolo iniziative di animazione attraverso la formula della settimana della comunicazione.
La vita di san Paolo è per noi, Paoline e Paolini, l’esempio permanente della nostra vita consacrata alle esigenze dell’Evangelo. E dall’Apostolo Paolo traiamo stili, contenuti, criteri della nostra missione. Il  ”farsi tutto a tuttti” ci appartiene come figli e figlie del beato Giacomo Alberione, e ci fa sentire come l’Apostolo delle genti «debitori a tutti gli uomini, ignoranti e colti, cattolici, comunisti, pagani, musulmani» (San Paolo, 1951). Consacrati e consacrate, dunque, per evangelizzare.
Parafrasando I’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani (15,,20), noi Paoline e Paolini ci facciamo un punto d’onore ad  annunziare il vangelo dove non è giunto ancora il nome di Cristo per non costruire su un fondamento altrui e per tradurre il “deposito” ricevuto nei luoghi dove nasce e si fa comunicazione (dai media più tradizionali ai social forum). Ecco perché la Parola divina (e «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode», Filippesi 4,8) deve risuonare attraverso Ie arterie informatiche di Internet, i canali della diffusione virtuale on-line, Ie chat e le messaggerie istantanee, i social network, da messanger a Myspace a facebook, twitter. ll web è un “luogo antropologico”, che va abitato e reso abitabile. È Ia nostra agorà, il nostro aeropago.

don Vincenzo Marras Superiore provinciale
Società San Paolo – Italia

sr Dolores Melis Superiora provinciale
Figlie di San Paolo – ltalia

 Pagine Aperte – aprile 2013
Settimana delle Comunicazioni

Il tuo nome è “SI”

 

AnnunciazioneLa settimana santa e la celebrazione dell’ottava di Pasqua ci hanno obbligato, quest’anno, a posticipare la solennità dell’Annunciazione del Signore, che troviamo nella piena luce della gioia pasquale. Il fatto che una simile festa, secondo le leggi e le consuetudini liturgiche, possa essere spostata ma non  possa in nessun modo cadere, è già un dato eloquente per comprendere quanto il mistero dell’incarnazione sia fondamentale per la nostra fede. Per tutta la settimana di Pasqua la liturgia ci ha fatto rileggere e meditare i racconti della risurrezione fino a ritrovarci, proprio ieri, ancora una volta, nei panni dell’Apostolo Tommaso chiamato a mettere la sua mano e il suo dito nel costato del Signore. Il mistero della risurrezione, lungi dal farci superare la mediazione della carne e del corpo, non fa che portarla al suo massimo splendore e al grado più alto di rivelazione. Nella festa di oggi viene evidenziato in modo forte il tema dell’obbedienza, ma si potrebbe dire, evocando don Milani, che l’obbedienza non è una virtù, bensì un atto di irrefrenabile amore spontaneo e amorosissimo, come spontaneo ed esplosivo è lo schiudersi delle gemme nell’incipiente primavera. La liturgia mette sulle labbra del Verbo, che accondiscende all’incarnazione, le parole del salmo: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: ‘’Ecco, io vengo’’ »
(Sal 39,7). L’incarnazione non può essere letta come un atto di obbedienza mortificante, ma come una condivisione generosa, da parte del Verbo, di ciò che da sempre abita il cuore del Padre  e che si fa visibile, per mezzo dello Spirito, nella terra della nostra umanità.  Della terra, madre della nostra umanità, è oggi icona da contemplare e da amare Maria, la figlia divenuta madre. Questa donna si fa obbediente accoglienza, nel senso di una pienezza riconosciuta e accolta, piuttosto che nella linea di una rinuncia fine a se stessa. Come canta estasiato Proclo di Costantinopoli: « Oggi, il chicco di grano è deposto in una terra vergine e tutta la natura prepara i suoi doni per il bambino».
I profumi e i colori della Pasqua ci aiutano a cogliere ancora più profondamente la portata di quel  «segno» (Is 7,14) che è la carne del Verbo fatto uomo e che, per noi, ha sofferto la morte come luogo di rivelazione di un amore che non si lascia mai vincere dalla sfiducia e dall’egoismo. Contemplando il dono pasquale del Signore Gesù, possiamo intuire quale senso di accoglienza e di amor egli ha sentito nell’affacciarsi sul nostro mondo, accolto in un grembo come quello di Maria. Il  «SI» della Madre di Dio non solo ha reso possibile l’incarnazione del Verbo, ma è stato il primo passo della rivelazione di quell’obbedienza filiale del Cristo, nel cui dinamismo siamo chiamati a riformare e convertire, continuamente, la nostra vita perché ne sia una continuazione nella storia di ogni giorno e ogni alba sia così un’aurora di salvezza. Veramente  «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Dall’incarnazione, alla passione fino alla resurrezione!

Signore Gesù, tu hai bussato al cuore di Maria per essere accolto tra gli uomini, dono e salvatore della storia e di ogni storia. E noi ti rendiamo lode per il suo «Eccomi», per quel «SI» di tua madre, luminoso e forte, che ti ha spalancato le porte del cuore e che ha dato vita alla divina avventura della tua incarnazione.
Quando l’accettare il disegno di Dio su di noi ci pare un’incomprensibile strada in salita, donaci di coglierne la divina trama nascosta nel quotidiano. Alleluia!

Fr Michael Davide monaco benedettino

Benedetto XVI Emerito

L’ENCICLICA NON SCRITTA DI PAPA BENEDETTO
(Aldo Maria Valli)

Si sente dire in giro, anche da qualcuno nelle parrocchie, tra i fedeli: “Ma il Papa non doveva, non poteva. Non si scende dalla croce”. È forse il commento più avvilente, specie se fatto da credenti. Il Papa non sta scendendo dalla croce: ci sta salendo. Sta facendo l’esperienza dell’abbassamento, della spogliazione di sé. L’esperienza più radicale di abbandono nelle braccia del Signore. Chissà quale tumulto di emozioni e di pensieri nella sua anima. Poi la scelta. Una scelta nata dalla preghiera, dall’ascolto di Dio, dal confronto con lui. Si dice: “Il Papa stava scrivendo un’enciclica sulla fede, ma non l’avremo”. Non è vero. L’enciclica sulla fede l’ha scritta: sta in questa sua sofferta decisione di farsi da parte agli occhi del mondo per mettersi sotto uno sguardo che conta infinitamente di più. È un’enciclica silenziosa, ma non meno efficace. E, non a caso, come sempre sono i più semplici a comprenderla. Mentre i dotti fanno scorrere fiumi di parole per indagare le ragioni occulte delle dimissioni, gli umili hanno già capito: il Papa sta facendo l’esperienza di Gesù nell’orto del Getsemani: «Ora l’anima mia è turbata». E dal turbamento nasce l’abbandono nelle braccia del Padre. Si potrebbe dire, e tutti lo diciamo prima o dopo, «salvami da quest’ora». Ma la fede sta nell’abbandono, nello spogliarsi di sé. L’enciclica silenziosa di Benedetto ci parla della vita debole, della vita turbata. Ci parla di quella vita che normalmente non vogliamo vedere. Ci parla della morte e della mortalità. E noi che viviamo nella società dell’immagine, noi che siamo abituati a valutare tutto e tutti in base all’apparenza e alla categoria dell’efficienza, restiamo attoniti e duri d’orecchi di fronte a chi ci propone il nascondimento e il silenzio. Il Papa ha detto di aver ascoltato la coscienza. È la lezione del suo maestro Newman. Ma anche per ascoltare la coscienza bisogna in un certo senso spogliarsi di sé, dell’ideologia del fare e dell’apparire. Noi oscilliamo normalmente tra l’esaltazione del sé, fino al soggettivismo estremo, e la depressione più cupa che nasce dalla sensazione del vuoto. Ma lo svuotamento interiore è un’altra cosa. E anche di questo il Papa ci sta parlando con la sua enciclica silenziosa. E chi l’avrebbe mai detto che il teologo Ratzinger, il professor Ratzinger, ci avrebbe lasciato in consegna, come ultima lezione, un messaggio così? L’ammissione del turbamento. La fine del proprio magistero non nel trionfo ma nel nascondimento. Altro che scendere dalla croce. «In quel momento attirerò tutti a me». E lui si sta lasciando attirare. O io o Dio, ha detto il Papa nell’Angelus di domenica 17 febbraio. Alla fine il problema sta tutto lì. L’io tende inesorabilmente a prevalere, in mille forme diverse. In certi casi, addirittura, in forme ammantate di profonda religiosità. Lasciare spazio a Dio, lasciare che sia lui ad agire in noi, lasciare a lui l’ultima parola, è maledettamente difficile. Di fronte al dilemma “o io o Dio” il Papa ha scelto. Ha usato la sua razionalità, certamente. Ma l’ha fatto, come ha sempre chiesto nel corso del pontificato, con una razionalità non mutilata, non ridotta all’empirismo, ma aperta alla trascendenza. C’è, in questa sua ultima enciclica non scritta, moltissimo su cui vale la pena di meditare. Cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. Possibilmente nel silenzio.