Luce nelle tenebre

LUCE CHE SPLENDE NELLE TENEBRE

Carissime Annunziatine,

anche quest’anno ci incamminiamo a passi veloci verso Natale. L’Avvento ci conduce a questa notte luminosissima, quando appare al «mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
Notte in cui la solenne Liturgia ci fa celebrare, nell’unico Mistero, anche quella luce misteriosa che siamo ancora incapaci di contemplare. Quello stesso fulgore del Venerdì Santo quando «a mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (Mt 27,45; Mc 15,33; Lc 23,44).
Nella nostra povertà di fede abbiamo bisogno che ci venga anticipata un po’ di luce, altrimenti come potremmo arrivare fino alla fine della notte!
La mezzanotte di Natale si rispecchia nel mezzogiorno della Croce. Qui c’è la luce nel mezzo della notte, lì c’è il buio nel mezzo del giorno. Dio si mostra celandosi ma, nascondendosi, ci manifesta la sua infinita misericordia.
Davanti a questo mistero con gioia e semplicità dobbiamo esclamare con S. Alfonso de’ Liguori «quanto ti costò l’avermi amato … giacché ti fece Amor povero ancora».

Luce che vince le tenebre

Gesù è nato nel mezzo della notte, ma continua a nascere nel buio più pieno: «mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso» (Sap 18,14).
Il Libro della Sapienza ci parla anche del Natale e non solo dell’antica Pasqua. Assieme ai pastori, ci indica un bimbo in fasce: quello è il nostro Salvatore.
Ma noi vorremmo vedere un guerriero forte e potente per vincere la notte. Infatti, continua il Libro della Sapienza: «la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile» (Sap 18,15).
Ancora una volta l’infinita misericordia di Dio ci sorprende: nel venire incontro alla nostra fragilità umana, manda un bambino ad illuminare le nostre tenebre e scacciare le nostre paure. «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere» (Is 9,5).
È lui il guerriero implacabile che porta il decreto irrevocabile: la morte è vinta, per sempre. Per questo possiamo cantare nella sequenza di Pasqua: «Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello» (Mors et vita duello / conflixere mirando).

Gesù illumina chi gli è vicino

Questo inerme bambino è colui che vince l’ultimo nemico: la morte. «È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte» (1Cor 15,25-26).
Ascendendo al Cielo, e in tutti coloro che sono uniti alla sua risurrezione, già è vinta la morte. «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 3,14-15).
La Liturgia natalizia nella notte ci fa celebrare con gioia quella stessa luce che anticipa quella di Pasqua: il legno della mangiatoia richiama quello della Croce.
Ma la luce vittoriosa è tale solo per coloro che rimangono vicino a Gesù, per gli altri è ancora notte.
Per i Pastori c’è luce, per gli altri rimane la notte. Per i Discepoli che rimangono uniti a Gesù c’è luce (anche se turbati). Gli altri, quelli che non l’accolgono (cfr. Gv 1,9-10), anche oggi rimangono nella notte e sono nelle tenebre. Anche quelli che abbandonano tornano nelle tenebre. «Ed era notte» dice l’evangelista  quando Giuda esce dal cenacolo (Gv 13,30b).
La luce di una candela se la poniamo troppo vicino ai nostri occhi non ci permette di vedere lontano, ci fa sembrare tutto più buio e imperscrutabile. Mentre se è un po’ distante, o se c’è uno schermo che ci protegga dalla luce diretta, illumina e possiamo vedere intorno.
Anche spiritualmente avviene così, non possiamo vedere la luce divina direttamente con i nostri occhi, rimaniamo abbacinati, ma senza quella luce sprofondiamo nelle tenebre. Infatti dice il salmo 35 «alla tua luce vediamo la luce» subito dopo aver detto «È in te la sorgente della vita» (Sl 35,10).

Luce gentile

A Natale anche noi possiamo dire che abbiamo veduto, abbiamo contemplato, abbiamo toccato il “Verbo della Vita” (cfr. 1Gv 1,1). Il Maestro Divino, nascondendosi nel velo di fragile carne, si è reso visibile ai nostri deboli occhi.
Tuttavia, come ai pastori, un raggio di luce illumina le nostre menti ed i nostri cuori squarciando le tenebre quel tanto che permette di riconoscere quel Maestro che regna nella mitezza e nell’umiltà. Egli insegna con dolce autorità scrutando i nostri cuori e illuminandoli con la sua luce gentile. Infine “come agnello mansueto” (Ger 11,19; Is 53,7) riscatta ogni uomo dalle tenebre della morte.  Ma, insieme, la sua luce si nasconde, facendosi bambino, facendosi silenzio.
Nelle tenebre del Mistero si rivela a coloro che si lasciano illuminare, come Dio Padre Misericordioso, Verbo Figlio Salvatore, Spirito Santo d’amore. A Natale come a Pasqua si disvela la pienezza della Rivelazione, per coloro che lo hanno accolto si manifesta la pienezza della sua gloria (cfr. Gv 1,12.14).
Nell’umile luce della lampada che brilla nell’oscurità possiamo contemplare il mistero della Trinità.
«… l’olio è l’immagine di Dio Padre; lo stoppino, è l’immagine di Dio Figlio; lo stoppino, c’è perché il fuoco non bruci tutto d’un colpo l’olio: è Gesù che impedisce alla collera di Dio di scoppiare, che concilia l’uomo con Dio; e il fuoco, è lo Spirito Santo Dio, che fa conoscere Dio all’uomo, che lo riscalda, gli dà la luce e la vita. La luce attira l’uomo a Dio e nello stesso tempo gli mostra Dio» (dagli Scritti di sr. Maria di Gesù Crocifisso, 1846-1878).
Maria e Giuseppe hanno accolto e contemplato il Verbo della Vita e nel presepe ci insegnano come avvicinarci a lui con gioia ed umiltà del cuore, della mente e delle nostre azioni.
Buon Natale in Gesù Bambino, Divin Maestro Via Verità e Vita.

Don Gino

La Donna

LA DONNA ASSOCIATA ALLO ZELO SACERDOTALE
Beato Alberione

La fortezza è la virtù morale e soprannaturale che rende l’animo generoso e intrepido nel lavoro
per il cielo, nonostante le difficoltà, le paure e, forse la stessa morte.
Il cuore forte sa intraprendere e sopportare. Beato Alberione.
“Il Signore t’ha benedetta nella sua potenza,
per mezzo di te ha annientato i nostri nemici” (Giud.13,22)
Se questa è la missione della donna, ne segue che il sacerdote e la donna s’incontrano
nella stessa vocazione, che essi devono lavorare lo stesso campo. Ma disordinatamente, a
capriccio? senza chi regoli e diriga il lavoro? No: l’esercito delle donne deve avere il suo
capitano nel sacerdote.
Il sacerdote è da Dio stabilito a salvare le anime: e dovrà renderne
conto a lui insieme con la donna. Tocca però al sacerdote guidare il suo esercito alla
vittoria: a lui studiare pazientemente il piano: a lui frenare le audaci ed incuorare le
timide: a lui il richiamare le disertrici e lo riordinare le sbandate: a lui condurre tutte a
battaglia. Egli, il capitano; le donne, i soldati: se il capitano dispone la battaglia, sono però
i soldati che la vincono.
Oggi è universalmente riconosciuto il valore di questo principio nella cura d’anime: al
sacerdote e più specialmente al parroco spetta il dovere di valersi di tutti per ottenere il
fine suo: salvare le anime. Egli non può mettere in disparte alcuno dei mezzi ed alcuno dei
cooperatori: canto, circolo di cultura, conferenze, avvisi, delicate industrie ecc.: curati,
beneficiati, membri delle associazioni cattoliche, compagnie religiose ecc.: e tra tutti questi
mezzi di salvezza e tra questi cooperatori uno ve ne ha importantissimo, abilissimo,
efficacissimo: la donna. Dunque l’utilizzi, dunque la diriga, dunque se ne valga in
ognioccasione: beninteso con prudenza, come si vedrà in seguito.
L’uomo nell’ordine fisico è incompleto senza la donna: poiché se egli ha la forza gli manca
la grazia posseduta dalla donna: se egli ha l’intelligenza la donna ha il cuore: uniti questi
due esseri si completano e dànno origine ad altri uomini.
Qualcosa di simile è della missione sacerdotale e della missione della donna: il
sacerdoteammaestra, comunica i carismi della grazia, santifica dal tempio: ma la donna
prolunga questa sua divina influenza sino fra le mura domestiche, la donna porta al
sacerdote l’uomo. Il sacerdote senza la donna perderebbe tre quarti della sua influenza
nella società, la donna senza di lui la perderebbe tutta. Come tra Dio e l’uomo sta il
sacerdote, così tra il sacerdote e l’uomo sta la donna, anello di congiunzione.
Ed ecco il vincolo strettissimo che unisce il sacerdote e la donna: la comune vocazione; ed
ecco nel sacerdote l’obbligo di un oculato e prudente indirizzo alla donna nella scelta dei
mezzi: ed ecco nella donna il dovere di un’umile docilità ai consigli del sacerdote.
Che se ancora un dubbio ci sorgesse in mente, guardiamo alla storia: a fianco ai grandi
benefattori dell’umanità e ai grandi santi del cristianesimo troverete sempre una dolce
figura di donna e di santa, che quasi ne completa l’opera. A fianco di san Benedetto, il
grande patriarca del monachismo occidentale, vedete santa Scolastica sua sorella; a fianco
di san Francesco d’Assisi, il santo così universalmente amato,è santa Chiara, sua
concittadina; a fianco dei Padri Domenicani sono le Domenicane; a fianco di san Francesco
di Sales è santa Giovanna Francesca di Chantal; san Vincenzo de’ Paoli ha fatto per la Chiesa e per le anime assai più coll’istituire le Suore della Carità che col fondare la famiglia
dei Religiosi della Missione. Il venerabile Cottolengo fu assai coadiuvato da Marianna Masi
e il venerabile don Bosco dalla propria madre, Margherita Bosco.
Questo è l’ordine provvidenziale del mondo: né tocca a noi mutarlo: opponendoci
renderemmo sterile il nostro nobile ministero: coll’adattarvisi opereremo con minor fatica
un bene centuplicato. È necessaria un’avvertenza, a scanso di fraintesi.
Da quanto ho detto e sto per dire, alcuno potrebbe forse credere che io voglia asserire la
donna non dovere occuparsi d’altro che cooperare al sacerdote: o almeno che quando non
fa questo, non risponda alla missione sua. Non è precisamente in questo senso che
intendo parlare. La donna ha da prestar un aiuto materiale all’uomo: e nel far questo
ognuno vede quale immenso campo è preparato alla sua attività: ma io di questo non
intendo occuparmene precisamente, esorbitando dal mio scopo. La donna ha da prestare
aiuto morale-religioso all’uomo: e questo può avvenire in due modi: o direttamente, dirò
così, nell’opera e nell’indirizzo datole dal sacerdote: o indirettamente, entrando soltanto
nello spirito della missione sacerdotale, che è pure parte della missione femminile. Anche
questo è assai apprezzabile: ma è specialmente del primo che qui intendo trattare;
giacché dell’altro sono già in gran numero i libri che ne parlano, alcuni anzi egregiamente.

LA POTENZA DELLA DONNA
La forza della donna non sta nella sua intelligenza, ma nel suo cuore: vorrei dire con un autore moderno: «nella sua debolezza, nel suo spirito, nella sua bellezza, posta a servizio del suo cuore».Nell’uomo il cuore è metà del suo essere, nella donna è tutto: «Più superficiale nel resto, scrisse De Bonald, la donna è più profonda nell’amore».
«L’amore non ha che episodi nella vita dell’uomo, mentre nella donna è la storia della vita intera»: così scrisse la Staél, forse con qualche esagerazione.
Ma è certo che nella donna predomina il cuore e ne è prova la sua tenerezza, la sua soavità, il suo spirito di sacrificio, la sua delicatezza, tutta la sua intuizione. Osservate l’affetto di una figlia verso il padre o la madre; l’affetto d’una sposa per lo sposo ancorchè duro e incurante; l’affetto di
una sorella per i fratelli ancorchè sprezzanti; l’affetto di una madre per i figli ancorchè
ingrati: sono prove del grande cuore della donna. «Alla donna, più che all’uomo – dice il S.
Padre Pio XII – Dio ha concesso il dono, col senso della grazia e della piacevolezza, di
rendere leggiadre e gradite le cose più semplici, precisamente perchè essa, formata simile
all’uomo come aiuto per costituire con lui la famiglia, è nata fatta per diffondere la
gentilezza e la dolcezza intorno al focolare di suo marito e far si che la vita a due vi si
componga, e si affermi feconda e fiorisca col suo svolgimento reale». Come alla forza si
resiste con la forza, e trionfa il più forte; come dinanzi all’intelligenza si usa il raziocinio e
vince chi ha argomenti migliori e logica più stringente; così fra due cuori il trionfo è
sempre del più grande: e tra l’uomo e la donna la prevalenza del cuore non si discute. La
donna non calcola il proprio ideale, ma l’intuisce e, fattolo suo, l’ama con tutto il suo
essere e, vi tende con tutte le sue forze, lo sostiene appassionatamente di fronte all’uomo.
Lo sostiene con la debolezza. Cosa meravigliosa: quanto più un essere è debole, tanto più
forte sarà la sua preghiera. Se il povero è più povero, ha maggior efficacia presso il ricco;  se il bambino è più piccolo, più facilmente disarma anche il mostro di crudeltà. E questa è
la forza della donna: essa è regina finchè chiede umilmente; quando volesse comandare o
ragionare, allora il suo impero si sfascia. E l’umile supplica, la donna non l’adopera solo di
fronte all’uomo per convalidare i suoi desideri, ma specialmente di fronte a Dio. Ella prega
per l’uomo: prega con la confidenza del bimbo, con l’umiltà del povero; con la costanza,
spesso, del martire. Prega, e Dio l’esaudisce, perchè chi non sa che la preghiera è
onnipotente presso il cuore di Dio? Chi non sa che Dio dà tutto a chi lo prega bene? Ed
ecco la donna che, per la sua debolezza, diventa forte della fortezza di Dio; ed ecco che la
donna vince perchè ha con sè Dio. La donna sostiene il suo impero con la bellezza:
bellezza che cresce nella virtù, nella modestia, nel pudore. È vero ciò che sta scritto
nell’Ecclesiastico: «Per causa dellabellezza della donna molti sono caduti nella perdizione e
da essa viene accesa come fuoco la concupiscenza» (Siracide 9,9); ma d’altra parte è pur
vero che la bellezza, unita alla virtù, muove il cuore dell’uomo, l’inclina verso di lei e
diventa un mezzo potentissimo per innalzarlo verso il Signore. La donna sostiene l’uomo
col suo spirito: l’uomo considera le cose, astrae, generalizza; la donna tutto analizza e
vivifica. La donna sente Dio, la virtù, quanto vi ha di bello e di buono: e nel sentire ama, e
nell’amare persuade, e persuadendo comunica un’unzione tutta particolare del suo cuore.
L’uomo ne resta dominato, direi, spesso incantato. La donna sostiene l’uomo col sacrificio:
ma sacrificio che si compie in mille cose minute, che l’uomo sovente non cura o addirittura
disprezza.La donna per compiere la sua sublime missione ha a suo servizio amorose
sollecitudini, esortazioni dolci e forti, rimproveri pieni di tenerezza soave, preghiere condite
di lacrime cocenti, sguardi che sono una rivelazione, una ispirazione, una intuizione, una
suggestione; così ella previene cadute, rialza chi è inciampato, sprona al bene, eleva
opportunamente.
Osservate a quante cose arriva una donna, come nulla le sfugge, come tutto prevede,
aggiusta, ripara, dispone. Questo è un fatto verissimo ma troppo frequente per cui non è
sufficientemente stimato. E’ difficile capire le tenerezze d’una sorella, i riguardi assidui e
delicati di una sposa, le sollecitudini continue ed amorose d’una madre. Ella non risparmia
fatiche, veglie, privazioni, sangue, vita; e, soffrendo, gode di soffrire; morendo, gode di
consumarsi, pur di ottenere quanto vuole per l’essere che ama. E l’uomo rimane vinto,
cade ai suoi piedi, si arrende e dice praticamente: chiedi quanto vuoi; chi può resistere alle
tue richieste?
La posizione della donna
In secondo luogo la donna è potente per la sua missione domestica e sociale. Questa è
per lei come il miglior punto strategico per un capitano. La donna è nella famiglia più che
non l’uomo; come figlia, sposa, madre. Ora quanto non può una figlia sull’animo dei
genitori e su quello dei fratelli? Vi sono intere famiglie allevate cristianamente da una
sorella maggiore. Tanti fatti storici confermano la cosa, tanto da farla diventare ordinaria !
Quante volte una buona figliuola non ha ritenuto da eccessi genitori e fratelli? Quante
volte una buona figliuola non ha istruito i suoi cari, piccoli e grandi, nelle verità religiose in
modo così naturale e delicato, da passare inavvertita ma da essere efficace? Quante volte
non ha attirato i parenti alla Chiesa, alla parola di Dio, ai SS. Sacramenti? Quante volte
una buona figliuola di soda pietà non ha sparso il profumo del proprio spirito tra le mura
domestiche? non ha indotto soavemente al parlare castigato, al vicendevole
compatimento, all’amore reciproco, all’adempimento del dovere? Si domandò un giorno ad
una nobile donzella, sorella di un avvocato di grido, scapolo, come mai ella avesse rifiutato
la mano di tanti giovani buoni, ricchi, onorati. La donna alzò gli occhi al cielo, poi li abbassò, e mentre il volto si copriva di un lieve rossore, mormorò: «Ahi l’anima di mio
fratello!… ». Era la vittima che aveva sacrificato tutto per restare al fianco del fratello, per
salvarlo. Ed aveva già ottenuto tanto! La sposa poi, alla forza dell’affetto, aggiunge la
libertà che le proviene dall’essere la compagna del suo sposo, e perciò può ancora di più.
Quante volte è solo per lei che si è compito il matrimonio religioso, che in casa si prega,
che il marito si porta alla Messa ed ai Sacramenti. « Mio marito fa quello che gli dico io –
confidava una sposa. – E’ ora di andare alla Messa, gli dico.
Ed egli cede e mi accompagna ». Ed anche là dove più non giunge la voce del Sacerdote,
anche a quell’uomo il quale non pensa che al lavoro e al guadagno, anche a quel
disonesto, il quale non sogna che piaceri e passioni, anche a quell’infelice travagliato dalla
febbre degli onori o dalla sete di vendetta, anche a costoro può sempre o quasi sempre
giungere la voce d’un angelo: voce dolce, suadente, ascoltata d’una sposa. Quante volte si
rinnova lo spettacolo di S. Cecilia che conduce il marito al Sacerdote di Dio! Quante volte
si ripete il fatto di Emilio Littrè ! Filosofo positivista, storico evoluzionista, senatore a vita,
massone zelante, ricevette negli ultimi giorni della vita il S.Battesimo. Il merito della
conversione? la sposa e la figlia: l’ottennero col sacrificio, con la preghiera, coi servizi più
assidui, con le parole più dolci, con la medaglia della Vergine: argomenti più forti sul cuore
che non la logica alla mente! Oh quanti consorti dovranno rendere giustizia nell’eternità
alla loro benefattrice e dire: Sono salvo per la mia sposa.Ma la donna tocca l’apice della
sua potenza quando è elevata alla dignità di madre; forza d’amore, libertà di parole,
autorità divina sui figli si congiungono allora in lei. E chi forma l’anima dei figli è appunto
la madre: il padre fa eseguire, ma la madre crea la coscienza dell’azione; il padre traccia
come lo scheletro di educazione, ma la madre lo completa, lo vivifica; il padre agisce sul
figlio presente, la madre anche sul figlio lontano dalla casa e dal suo sguardo, sul figlio
superstite.Montaigne e Smiles concordemente affermano: « La casa dipende siffattamente
dalla donna da potersi e doversi asserire che la felicità o l’infelicità della casa medesima
sono opera sua ».E il De Maistre: « Sulle ginocchia della madre si forma ciò che il mondo
ha di più grande: l’uomo ». Questa verità è di evidenza così chiara e di esperienza così
ordinaria da non aver bisogno di dimostrazione. Il fatto di Coriolano che cede innanzi alla
madre, se è vero, non è che uno degli infiniti episodi d’ogni giorno. Quante volte si può
ripetere ciò che disse S. Ambrogio a S. Monica: « E’ impossibile che si perda il figlio di
tante lacrime ! » Rimarrebbe ora a vedere quanto possa la donna per la sua posizione
sociale, e questo si vedrà più chiaramente nella seconda parte.

LA VOCAZIONE DELLA DONNA
Il Bougaud, dopo aver considerato la potenza della donna, esclama: « Initium et finis
mulier »: in ogni cosa grande vi trovate come principio e fine la donna. E Tacito: « Inesse
in eis quid divinum»: la donna ha in sè una orma della potenza di Dio. Ma perchè questo
Dio,che fa bene ogni cosa, che tutto rettamente dispone in peso e misura, secondo i suoi
altissimi fini, perchè questo Dio è stato così munifico verso la donna? La risposta è
esplicita e logica: perchè l’aveva destinata a una nobilissima vocazione; i doni largiti alla
donna sono i mezzi necessari alla sua missione. Rifacciamoci all’origine del mondo.
Quando Dio ebbe creato l’uomo, dice la S. Scrittura, Egli guardò a lui e, tocco il cuore di
compassione alla vista della sua solitudine, pronunciò quella parola: «Non è bene che
l’uomo sia solo: facciamogli una compagna simile a lui che gli serva di aiuto»(Genesi
2:18)E creò la donna per aiuto dell’uomo. Ma per aiutarlo in che cosa? Nei suoi lavori,
nelle sue angosce? Si: è acerbo il dolore quando si soffre da soli! Per condividere le gioie,
e sogni di felicità? Sì, perchè si gode assai poco, quando si gode soli!
E siccome l’uomo non è creato per la terra ma per il cielo, siccome Dio collocò in lui speranze celesti, aspirazioni e slanci sublimi, siccome il mondo è l’esilio, mentre il cielo è la patria:
sorreggere l’uomo in questo cammino, condurlo amorosamente all’eternità beata,
procedervi sostenendosi a vicenda, costituisce l’altissima missione della donna, adjutorium
simile sibi. «Son due – dice il S. Padre Pio XII – l’uomo e la donna, che camminano a paro
e si dànno la mano e si legano col vincolo di un anello; nodo amoroso che anche il
paganesimo non dubitò di chiamare “vinculum iugale”. Che è mai dunque la donna se non
l’aiuto dell’uomo, colei a cui Dio concesse il sacro dono di far nascere l’uomo al mondo? »
L’uomo, curvo sulla terra che doveva lavorare, avrebbe forse perduto facilmente di vista il
cielo: Dio gli diede un angelo, un apostolo, un amico intimo, persuasivo, amabile onde gli
conservasse la luce e l’attrattiva verso la meta. Si procede bene, la mano nella mano!
Gen,2,18 E’ però tristemente vero che Eva si valse di questo dolce ascendente su Adamo
per trascinarlo seco nella colpa. Ma Dio, punendolo, non mutò la missione della donna:
l’uomo caduto abbisognava ancora di più dell’aiuto di lei. Se la donna, sotto il dominio
brutale del paganesimo, per diffidenza dell’uomo, cadde schiava, oppressa o almeno fu
allontanata dall’uomo, Dio pensò a rilevarla da tale stato: se no, essa non avrebbe più
potuto esercitare la sua missione. Maria fu l’alto tipo della donna cristiana: Essa compì il
suo ufficio di sollevare l’uomo, di distaccarlo dalla terra, di condurlo al cielo.                                   La donna riabilitata da Gesù Cristo, venne con paziente ed assiduo lavoro rimessa al suo posto
primitivo. Dopo diciannove secoli, la donna cristiana gode di nuovo quel santo ed
universale rispetto, quel tenero e religioso amore, quegli onori e quei riguardi di
delicatezza che rendono possibile l’esercizio della sua missione. Quel certo spirito di
cavalleria, che nonostante le naturali esagerazioni, dominò tanto nel Medio Evo e forma
ancor oggi come l’incanto e il profumo della società civile, è tutto uno spirito ed un frutto
delle dottrine cristiane sulla donna. In essa troviamo di nuovo quel profumo di purezza,
quell’aureola di modestia, quella bellezza grave, quell’amabile libertà, quella virtù generosa
e quel desiderio intenso di attrarre il cuore dell’uomo per innalzarlo al cielo e condurvelo
seco. Quanti uomini, specialmente nel turbinio presente della vita, dimenticherebbero
forse Dio, l’anima, l’eternità, se non avessero una sorella, una sposa, una madre, una
flglia… L’uomo meglio fornito di doni e di studi, tra gli affari e le occupazioni del presente,
facilmente dimentica l’idea del futuro: il visibile lo soffoca, il suo volto si abbassa. E lo
dimentica, anche perchè molte donne non vivono all’altezza della loro missione. Lo
lamenta il S. Padre Pio XII: «Il meraviglioso progresso materiale, non accompagnato e non
seguito da un corrispondente progresso morale, ha finito con tutti i suoi agi e le sue
comodità di soffocare nelle coscienze i valori spirituali e di mettere l’uomo fuori di Dio e
contro Dio. «L’applicazione delle scoperte scientifiche, i mirabili progressi della scienza, le
sorprendenti realizzazioni della meccanica hanno trasformato il mondo; ma la donna,
creata da Dio per ricordare all’uomo il suo fine spirituale, immortale, eterno, non ha
saputo guidare se stessa per le difficili vie della civiltà moderna, non ha saputo difendere e
salvaguardare l’importante trincea dei valori spirituali. non ha saputo essere la misura di
tutto, come avrebbe dovuto, per la sua missione. Così ha finito di essere travolta e
divenire prima il trastullo, il giocattolo grazioso della vita, poi lo strumento di corruzione, di
rovina, di peccato. « Spetta alle giovani migliori – e chi non vuol essere tra quelle? –
saldare la rottura profonda, ricomporre il disaccordo, ristabilire l’armonia tra le nuove
forme di vita e la legge di Dio, attingendo alla fede religiosa, alla coscienza della propria
dignità, al senso di responsabilità umana e civile, la forza per essere all’altezza dei tempi,
non solo nel portamento esterno, ma in quello spirituale e morale ». L’uomo è in uno stato
di inferiorità rispetto alla donna: mentre la avanzerebbe per forza della sua intelligenza.
Ciò che l’uomo dimentica, è precisamente quanto la donna più facilmente ricorda, perchè
lo sente sempre vivo. Ella non cura tanto la logica, ma se si tratta delle cose spirituali le
intuisce meglio, le gusta meglio, vi inclina più facilmente. Qualcuno ha detto: la religione è
per le donne. Non è per le donne nel senso di escludere gli uomini; ma è per le donne nel
senso che la donna naturalmente è più inclinata alle pratiche di pietà. « Anche la Chiesa,
disse il Papa Pio XI alle Donne Cattoliche, vi rende questo onore, chiamandovi il sesso
devoto. E voi dovete, con la religione e per la religione, essere aiuto dell’uomo ». Chi
mette la donna fuori di tal missione, la mette fuori della sua vocazione: la rende una
spostata. La donna che non fa questo è inutile, se non dannosa, nel mondo. Alla donna
che si insuperbisse o si lamentasse di dover lavorare per la conversione del marito si
potrebbe far presente che quello è il suo esplicito dovere.
Beato Alberione – TESTO 

pag.WEB

Nuovo Cantico

ignore Dio, benedetto sii per nostra sorella stampa che è pane dell’intelligenza e luce dell’anima. Ti preghiamo, Signore per tutti i giornalisti del mondo i disegnatori di fumetti, i pittori di cartelloni pubblicitari. Illumina con la luce tua chi scrive e chi diffonde, chi stampa e chi legge: umili servitori siano della verità nell’amore.

ode a te, Signore per nostro fratello cinema. Nel suo dinamico narrare intensamente agisce sull’uomo: ha in sé la forza e il fascino del teatro e della fotografia, della stampa e della parola viva, della musica e della pittura. Guida, Signore, registi e produttori, attori e spettatori verso ciò che è vero e buono che canta la vita e costruisce l’uomo.

ignore Dio, benedetto sii per nostra sorella radio che cammina sulle ali del vento e tanto piccola fa la terra. Ti preghiamo, Signore, per le radio trasmittenti grandi e piccole. Questa creatura dell’ingegno umano utilizzata sia per fare gli uomini liberi e fratelli.

ode a te, Signore, per la televisione. Questa cattedra che si pone nel cuore d’ogni casa non turbi, ma alimenti l’armonia della famiglia, prepari uomini nuovi per un mondo nuovo fondato sul tuo vangelo.

 

ignore Dio, benedetto sii per la telematica e per Internet, rete delle reti, Piazza Grande del pianeta, casa della conoscenza. Ti preghiamo, Signore, che diventi e resti il Sito dove razza e credo, colore e sesso, risorse e culture non dividano l’uno dall’altro, ma gente interagisca con gente in una sola comunità estesa al mondo.

ode a te, Signore nostro Dio, per il progresso della tecnologia Lode a te per tutti gli strumenti della comunicazione che ieri, oggi e domani, poni nelle nostre mani a servizio dell’uomo e del Regno tuo. Amen! Alleluia!      Power Point  – pdf

 

(Nuovo cantico delle creature nell’intuizione di don Alberione) 

Due donne una missione

Due donne, una missione
Domenico Soliman, SSP  23 Luglio 2019  /  Creato: 23 Luglio 2019

Antonietta Guadalupi. Fernanda Maria da Costa Simões Annunziatine

Tra qualche giorno, ovvero il prossimo 30 luglio, ricorrono 18 anni dalla morte dell’Annunziatina Antonietta Guadalupi. Nella Famiglia Paolina non tutti ancora la conoscono ma la sua vita è stata davvero interessante. Nata a Brindisi (Italia) nel 1947, diventa infermiera professionale, dando vita alla prima struttura di accoglienza e assistenza dei malati e dei parenti presso l’Istituto Nazionale dei tumori di Milano, una vera novità in quegli anni. Ha aiutato molte famiglie ad affrontare la malattia, a scoprire o riscoprire un cammino di fede… Il suo modo di accogliere le persone e di accompagnarle, il modo di aver cura di loro, insieme alla sua fama di santità dopo la morte sono tutti elementi che hanno motivato il vescovo di Brindisi a iniziare ufficialmente, con molta probabilità nel prossimo autunno, il processo di canonizzazione nella fase diocesana. Una donna che ha vissuto la comunicazione come carisma perché il suo modo di creare relazioni con tutti apparteneva a quella “cultura dell’incontro” così cara alla Famiglia Paolina.

In questa occasione vale la pena ricordare anche una seconda Annunziatina. Parliamo di Fernanda Maria da Costa Simões, portoghese, nata nel 1924 e morta nel 1973. Anche Fernanda è poco conosciuta e non è in atto nessun processo di canonizzazione, ma un piccolo libro, La grande opzione di una giovane moderna, riporta i tratti più significativi di questa apostola paolina, lei che ha intuito quanto il film poteva essere di aiuto nella catechesi e nella formazione cristiana. Questa intuizione l’ha concretizzata nel suo contesto parrocchiale, con slancio, proponendo e riproponendo nei suoi incontri storie edificanti raccontate per immagini… Una donna che ha lasciato una traccia di bene tra la sua gente, testimonianza di amore semplice e concreto, sempre dal colore paolino.

Queste due donne ben diverse per provenienza e per contesto apostolico portano in loro il medesimo germe di vita. Per capire il segreto della loro vita dobbiamo attingere all’esperienza del giovane sedicenne Giacomo Alberione, quando nella famosa notte, sentì di fare qualcosa per gli uomini del nuovo secolo. Questa luce o questa esperienza spirituale di Dio è divenuta il centro propulsore per tutto il bene che dal 1914 si è concretizzato nella vita paolina.

Ad Antonietta e a Fernanda dobbiamo associare tanti Paolini e Paoline che hanno vissuto con amore e creatività lo slancio apostolico di san Paolo. Sono esempi non chiusi nel passato ma testimonianze che ci aiutano a dar concretezza al nostro oggi apostolico. Anche noi come loro viviamo difficoltà e opportunità… ma il medesimo Spirito suggerisce quella creatività apostolica che è il nostro modo di “fare qualcosa” per gli altri nella moderna cultura della comunicazione.

Dal medesimo punto di vista dobbiamo leggere la vita e l’operato dei nostri Beati Giacomo e Timoteo, dei venerabili Tecla, Scolastica, Maggiorno, Andrea, Francesco e i venerabili coniugi Bernardini (Cooperatori Paolini). Invocarli, chiedere un aiuto, una grazia o una guarigione a Dio tramite la loro intercessione è ciò che attendono ancora oggi da noi, poiché tutta la loro vita è stata un «servire la Chiesa, gli uomini del nuovo secolo e operare con altri» (AD, 20).

Don Domenico Soliman è il Postulatore generale della Famiglia Paolina

da: paulus.net

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Il web

Il Web: la nostra agorà e il nostro aeropago

comunicazioneUna tra le sfide più significative dell’evangelizzazione oggi è quella che emerge dall’ambiente digitale. È su questa sfida che papa Benedetto XVI ha scelto, nel contesto dell’Anno della fede, per la 47a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il tema: Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione.
Come ogni anno il tema di questa Giornata caratterizza le iniziative del Festival della Comunicazione che si svolgerà, in collaborazione con Ia diocesi, dal 5 al 12 maggio 2013 ad Avezzano (AQ), coinvolgendo anche le diocesi limitrofe, mentre in tutto il territorio nazionale saranno promosse, in collaborazione con gli Uffici delle Comunicazioni sociali diocesane e dalle Librerie Paoline e San Paolo iniziative di animazione attraverso la formula della settimana della comunicazione.
La vita di san Paolo è per noi, Paoline e Paolini, l’esempio permanente della nostra vita consacrata alle esigenze dell’Evangelo. E dall’Apostolo Paolo traiamo stili, contenuti, criteri della nostra missione. Il  ”farsi tutto a tuttti” ci appartiene come figli e figlie del beato Giacomo Alberione, e ci fa sentire come l’Apostolo delle genti «debitori a tutti gli uomini, ignoranti e colti, cattolici, comunisti, pagani, musulmani» (San Paolo, 1951). Consacrati e consacrate, dunque, per evangelizzare.
Parafrasando I’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani (15,,20), noi Paoline e Paolini ci facciamo un punto d’onore ad  annunziare il vangelo dove non è giunto ancora il nome di Cristo per non costruire su un fondamento altrui e per tradurre il “deposito” ricevuto nei luoghi dove nasce e si fa comunicazione (dai media più tradizionali ai social forum). Ecco perché la Parola divina (e «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode», Filippesi 4,8) deve risuonare attraverso Ie arterie informatiche di Internet, i canali della diffusione virtuale on-line, Ie chat e le messaggerie istantanee, i social network, da messanger a Myspace a facebook, twitter. ll web è un “luogo antropologico”, che va abitato e reso abitabile. È Ia nostra agorà, il nostro aeropago.

don Vincenzo Marras Superiore provinciale
Società San Paolo – Italia

sr Dolores Melis Superiora provinciale
Figlie di San Paolo – ltalia

 Pagine Aperte – aprile 2013
Settimana delle Comunicazioni

Benedetto XVI Emerito

L’ENCICLICA NON SCRITTA DI PAPA BENEDETTO
(Aldo Maria Valli)

Si sente dire in giro, anche da qualcuno nelle parrocchie, tra i fedeli: “Ma il Papa non doveva, non poteva. Non si scende dalla croce”. È forse il commento più avvilente, specie se fatto da credenti. Il Papa non sta scendendo dalla croce: ci sta salendo. Sta facendo l’esperienza dell’abbassamento, della spogliazione di sé. L’esperienza più radicale di abbandono nelle braccia del Signore. Chissà quale tumulto di emozioni e di pensieri nella sua anima. Poi la scelta. Una scelta nata dalla preghiera, dall’ascolto di Dio, dal confronto con lui. Si dice: “Il Papa stava scrivendo un’enciclica sulla fede, ma non l’avremo”. Non è vero. L’enciclica sulla fede l’ha scritta: sta in questa sua sofferta decisione di farsi da parte agli occhi del mondo per mettersi sotto uno sguardo che conta infinitamente di più. È un’enciclica silenziosa, ma non meno efficace. E, non a caso, come sempre sono i più semplici a comprenderla. Mentre i dotti fanno scorrere fiumi di parole per indagare le ragioni occulte delle dimissioni, gli umili hanno già capito: il Papa sta facendo l’esperienza di Gesù nell’orto del Getsemani: «Ora l’anima mia è turbata». E dal turbamento nasce l’abbandono nelle braccia del Padre. Si potrebbe dire, e tutti lo diciamo prima o dopo, «salvami da quest’ora». Ma la fede sta nell’abbandono, nello spogliarsi di sé. L’enciclica silenziosa di Benedetto ci parla della vita debole, della vita turbata. Ci parla di quella vita che normalmente non vogliamo vedere. Ci parla della morte e della mortalità. E noi che viviamo nella società dell’immagine, noi che siamo abituati a valutare tutto e tutti in base all’apparenza e alla categoria dell’efficienza, restiamo attoniti e duri d’orecchi di fronte a chi ci propone il nascondimento e il silenzio. Il Papa ha detto di aver ascoltato la coscienza. È la lezione del suo maestro Newman. Ma anche per ascoltare la coscienza bisogna in un certo senso spogliarsi di sé, dell’ideologia del fare e dell’apparire. Noi oscilliamo normalmente tra l’esaltazione del sé, fino al soggettivismo estremo, e la depressione più cupa che nasce dalla sensazione del vuoto. Ma lo svuotamento interiore è un’altra cosa. E anche di questo il Papa ci sta parlando con la sua enciclica silenziosa. E chi l’avrebbe mai detto che il teologo Ratzinger, il professor Ratzinger, ci avrebbe lasciato in consegna, come ultima lezione, un messaggio così? L’ammissione del turbamento. La fine del proprio magistero non nel trionfo ma nel nascondimento. Altro che scendere dalla croce. «In quel momento attirerò tutti a me». E lui si sta lasciando attirare. O io o Dio, ha detto il Papa nell’Angelus di domenica 17 febbraio. Alla fine il problema sta tutto lì. L’io tende inesorabilmente a prevalere, in mille forme diverse. In certi casi, addirittura, in forme ammantate di profonda religiosità. Lasciare spazio a Dio, lasciare che sia lui ad agire in noi, lasciare a lui l’ultima parola, è maledettamente difficile. Di fronte al dilemma “o io o Dio” il Papa ha scelto. Ha usato la sua razionalità, certamente. Ma l’ha fatto, come ha sempre chiesto nel corso del pontificato, con una razionalità non mutilata, non ridotta all’empirismo, ma aperta alla trascendenza. C’è, in questa sua ultima enciclica non scritta, moltissimo su cui vale la pena di meditare. Cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. Possibilmente nel silenzio.

Come Maria

Come Maria, la donna completa l'uomo

Come Maria, la donna completa l’uomo

L’ideale della donna, quale risplende in Maria, viene sempre più considerato, in ogni
settore dell’umanità.
La donna, aiuto dell’uomo e simile a lui: con cui forma una carne, con cui si compie e si applica la redenzione nella Chiesa; con cui si lavora per l’elevazione sociale e morale.
Abbiamo tante donne martiri oscure e anche martiri più note.
La donna sposa che sostiene l’uomo in momenti dolorosi, come Maria accompagnò Gesù al Calvario.
La donna madre che ha accettato da Dio i bambini di cui vuole formare delle anime felici in cielo; come Maria ebbe, nutrì, vestì, istruì, Gesù.
E’ per questo che la donna ci appare completa: cultura e spiritualità, famiglia e società, apporto efficace nelle cose civili e nelle iniziative religiose; tanto di Dio da diventare un’appartenenza assoluta e tanto dell’uomo da completarlo; debitamente soggetta eppur potente per la sua debolezza supplicante; capace di ogni eroismo se ben guidata: umiliata e calpestata si risolleva e con la speranza cristiana ricostruisce un nuovo avvenire (CISP 1272-73).

da: Un anno con d.Alberione – a cura di G.M. Ferrero ssp

Anno della fede

Celebriamo e viviamo tutti insieme
L’ANNO DELLA FEDE

PER comprendere perché Benedetto XVI ha indetto un Anno della Fede è necessario vedere questa celebrazione sullo sfondo di altri avvenimenti assai significativi nella vita della Chiesa: il Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, che inizia il 7 ottobre, il 50° anniversario di apertura del Concilio Vaticano II (1962) e il 20° anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). 
Il filo rosso che attraversa tutti questi avvenimenti è il desiderio perenne della Chiesa di rinnovare l’impegno dei credenti che, nel confessare la propria fede in Gesù Cristo, autore e perfezionatore della fede stessa (Ebrei 11,40), «sono infatti chiamati a far risplendere la parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato» (Porta Fidei, n. 6).
L’Anno della Fede avrà inizio l’11 ottobre 2012 e terminerà il 24 novembre 2013 con la solennità di Cristo Re. Benedetto XVI, ricordando l’Anno di Fede voluto da Paolo VI nel 1967 come “conseguenza ed esigenza postconciliare”, fa propri i sentimenti del suo venerato predecessore che ha visto quell’anno come un’occasione propizia per tutta la Chiesa di poter riprendere, sia a livello individuale che comunitario, «esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla».
Graham Bell
NB. I testi sotto la rubrica “Nell’Anno della Fede” sono stati redatti a cura del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, Presidente Mons. Rino Fisichella e i suoi collaboratori. Anche le intenzioni delle Preghiere dei fedeli (XXVII Domenica – XXIX Domenica; Santi; XXXI Domenica; XXXII Domenica; I Avvento – III Avvento) hanno avuto una loro consulenza. Un vivo grazie per il loro contributo.

Novità – Opuscolo de “La Domenica

«INVITO ALLA FEDE»

«INVITO ALLA FEDE»

Un breve sussidio per credere, celebrare e vivere il dono della fede a livello personale e comunitario,
alla luce della Bibbia e degli insegnamenti della Chiesa, con attualizzazioni.
Pagine 32, con illustrazioni – H 1,50 La Domenica, Periodici San Paolo, P.zza San Paolo, 14 – 12051 ALBA (CN). Fax 0173.29.61.21. E-mail: [email protected]; Librerie San Paolo e Paoline