L’UMILTA’ DI DIO

Don Vito Spagnolo ssp   – dicembre 2005
lettera divisa nelle 4 settimane

Prima settimana di Avvento

Carissime, siamo già entrate nel tempo dell’Avvento e pian piano ci stiamo avvicinando al Natale. Spesso questo è tempo per mille distrazioni. Si assediano i negozi per regali, cibi, vestiti e ogni altro genere di cose. Si cerca di costruire la gioia di questa festa con delle cose, rischiando di perdere di vista il cuore del Natale, che è la contemplazione del mistero straordinario e bellissimo dell’Incarnazione. Il Creatore del mondo si fa creatura, l’Eterno entra nel tempo, l’Infinito si fa tangibile, il Tutto diventa frammento: “Il Verbo si è fatto carne”
(Gv 1,14). Il Natale ti annuncia, sorella carissima, che il nostro Dio non solo è vivo, ma ti è vicino, molto vicino, è il compagno di viaggio della tua vita (Lc 24,13-33). Dio non si vergogna di sporcarsi con il fango della nostra storia, di affaticarsi sulle nostre strade (Gv 4,6), di “perdere” tempo con noi.
Il volto dell’Amore “Il Verbo si è fatto carne”. Il cielo si può toccare, si può guardare, accarezzare, baciare. Un commento insolito uscito dalla penna di un filosofo ateo, J. P. Sartre, suona così: “Maria avverte che il Cristo è suo Figlio, il suo bambino, ed è Dio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatto di me. Ha i miei occhi. La forma della sua bocca è la forma della mia. Mi assomiglia. È Dio eppure mi assomiglia. Nessuna donna ha mai potuto avere in questo modo il suo Dio per sé sola. Un Dio bambino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci. Un Dio che sorride e respira. Un Dio che si può toccare e che ride”. Un Dio che si fa uomo lascia senza fiato. Dio si china sull’uomo e si rivela a lui con mezzi e dinamiche umane. Il volto di Dio molto oscuro nelle religioni, si fa più chiaro nell’Antico Testamento, e diventa luminoso nel Nuovo Testamento, nel volto del Bambino nella mangiatoia. La potenza dell’Onnipotente mostra il suo volto e la sua realtà paradossalmente nel suo opposto: nella debolezza e nella povertà, si fa mendicante dell’uomo, chiede a Maria il permesso di farsi uomo in Lei, prendendo a prestito la sua carne e il suo sangue.
Facendosi figlio di Maria, Gesù ci permette di sentirlo veramente nostro fratello, uomo come noi. E grazie a Lui e alla sua vita totalmente consegnata e sacrificata per amore nostro ci viene data la possibilità di diventare divini, figli come Lui (Gv 1,12), Lui il capo e noi il suo corpo (Col 1,18). “Meraviglioso scambio!” grida la liturgia nella Messa di Mezzanotte. Il Natale ci innalza alle stelle e pone ciascuno di noi a corona del Figlio Gesù in seno alla Trinità Santissima, amici di Dio, suoi familiari (Ef 2,19). Commenta sant’Ambrogio: “Volle essere bambino perché tu potessi diventare uomo perfetto; egli fu costretto in fasce perché tu fossi sciolto dai lacci della morte; egli fu nella stalla per porre te sugli altari; egli fu in terra affinché tu raggiungessi le stelle”. In un apocrifo egizio si legge: “Io divenni piccolo per essere più vicino a voi e sollevarvi verso il luogo donde sono disceso. Sì, io vi porterò lassù sulle mie spalle”.
Il più piccolo è il più grande “Troverete un bambino” (Lc 2,12), ci dice il Vangelo. Isaia aveva già profetizzato: “Un bambino è nato per noi” (Is 9,5). Diventare un Bambino: che stupendo piano di Dio! Lui l’Immenso si fa minuscolo, Lui il Tutt’Altro si fa comune bebè, nascosto tra mille creature. Se avesse chiesto educatamente qualche consiglio a noi, che conosciamo bene la vita, gli avremmo certamente suggerito come rispettare alcune regole elementari della nostra cultura. Infatti non è molto decoroso per un Dio nascere in una mangiatoia
(Lc 2,12), da genitori poveri (Lc 2,24), in una regione e città (Gv 1,46; 7,41.52) malfamate, restare nascosto in attività ordinarie per trent’anni (Lc 2,51-52). Tutto questo non è da Dio! O meglio non è secondo la nostra immagine di Dio, o meglio ancora si adatta benissimo ai nostri idoli. Dio facendosi Bimbo stravolge le nostre categorie e le condanna come peccaminose, perché intrecciate di calcoli umani e ricolmi di egoismi di ogni specie. Gesù, il Bimbo divino, ti annuncia, cara Annunziatina, che l’Onnipotente non si deve temere.

          Seconda settimana – L’Umiltà di DIO

Ti puoi anzi avvicinare a Lui con un sorriso, e scoprire che è semplice e divertente stare con Lui, che ti mette a tuo agio perché si affida completamente alle tue mani. Non ha pretese, o meglio l’unica richiesta che ti fa è di stare con Lui, farlo ridere e giocare, fargli compagnia, dargli affetto, volergli bene. Gesù, il Bimbo divino, l’eterno Fanciullo del Padre, ti propone lo stile di vita da figli, quel modo di pensare, sentire e agire che ti introduce nella vita trinitaria. Ti invita ad una totale fiducia nel Padre, quell’abbandono fiducioso nelle mani di Colui che sostiene il mondo. Gesù, il Bimbo divino ti suggerisce di vivere nella trasparenza, nella verità di quella che sei, senza maschere e camuffamenti vari. I bambini non sanno nascondersi di fronte a mamma e papà, gli raccontano tutto. Se hanno sbagliato gli chiedono perdono, e sono pronti a seguire i loro consigli. Non hanno orgogli da difendere, e vivono l’umiltà con naturalezza.
“Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3) ci annuncia Gesù. Bisogna diventare piccoli se vogliamo avere qualche possibilità di entrare nel regno di Dio (Lc 18,17), e di appartenere ad esso (Mc 10,14). Bisogna diventare i più piccoli per essere veramente i più grandi (Lc 9,48; 22,26). Gesù si lascia avvicinare “solo” dai bambini (Mt 19,14). Solo a questi piccoli vengono rivelati i misteri del regno (Lc 10,21). Questo d’altronde è lo stile di Dio che resiste ai superbi e dà grazia agli umili (1Pt 5,5). Infatti sceglie Israele, il più piccolo dei popoli (Dt 7,7); sceglie Davide come re, il più piccolo dei figli di Iesse (1Sam 16,1- 16); sceglie Betlemme, la più piccola città (Mt 2,6) per il più grande Re (Ap 17,14). Sono le vie di Dio che oltre ad essere l’Onnipotente è anche umiltà infinita, e come tale si affida come Bambino nelle mani di ogni uomo. Il Natale e il Bambino ci invitano ad una rinascita (Gv 3,5), ci esortano a far nascere e a far vivere Gesù in noi in modo più pieno, più maturo. Mettiamo alla guida della nostra vita questo divino Fanciullo (Is 11,6), ed Egli ci porterà ad una armonia con i ‘serpenti’ della nostra vita (Is 11,8).
Diventare bambini nel senso evangelico non ha niente a che fare con infantilismi e irresponsabilità, e san Paolo ci mette in guardia su questo (1Cor 3,1 ;13,11). Bisogna infatti crescere fino alla piena maturità in Cristo (Ef 4,12-16). Diventare piccoli allora significa riconoscere il proprio nulla e attendere tutto da Dio, come un bambino attende tutto dal padre. Vivere cioè “tranquilli e sereni, come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131). Dice santa Teresina: “La santità non consiste in questo o in quella pratica ma in una disposizione del cuore che ci mette umili e piccoli nelle braccia di Dio, consapevoli della nostra debolezza e grandemente fiduciosi nella sua bontà paterna”. Gli fa eco G. Bernanos: “Da che proviene che il tempo della nostra prima infanzia ci appaia così dolce e radioso? Un marmocchio ha le sue pene come tutti; è nel suo complesso così disarmato contro il dolore, la malattia! Ma è dal sentimento della propria impotenza che il fanciullo trae umilmente il principio della sua stessa gioia. Si rifugia in sua madre, capisci? Presente, passato, avvenire tutta la sua vita, la vita intera è compresa in uno sguardo, e questo sguardo è un sorriso.” L’umiltà ti eleva La grande lezione che Dio ci dà a Natale, facendosi Bambino, è l’umiltà. Si racconta della beata Giuliana de’ Cerchi (1219-1246) che mentre giaceva nel suo letto, vide un bambino di quattro anni o poco meno, dal volto bellissimo, che giocava con impegno nella sua cella davanti a lei.
Provò una grande gioia nel vederlo e gli disse: “O amore dolcissimo, non sai fare altro che giocare?” E il bambino: “Che altro volete che faccia?” E la santa: “Voglio invece che tu mi dica qualcosa di bello su Dio”. E il bambino: “Credi che sia bene che uno parli di se stesso?” E con queste parole scomparve. Che stupendo questo nostro Dio-Bambino umile! Noi uomini siamo costantemente impegnati a salire scale di ogni genere, cercando di essere i più bravi e i più belli, spesso magari sgomitando sui volti delle sorelle e dei fratelli più deboli. E rimaniamo così sempre più scioccati nel contemplare il Santo che percorre invece la via opposta alla nostra, quella della discesa e “pur essendo di natura divina spogliò se stesso, umiliò se stesso, fino alla morte di croce” (Fil 2,6-8). Veramente i suoi pensieri e le sue vie non sono i nostri pensieri e le nostre vie (Is 55,8-9). Dice San Cassiano: «Il demonio grida: “Io salirò fino al cielo” (Is 14,13). Iddio risponde: “L’anima mia si è umiliata fino alla morte” (Sal 43,25). Il demonio esclama: “Sarò simile all’Altissimo” (Is 14,14). Egli risponde: “Pur essendo di natura divina spogliò se stesso” (Fil 2,6-8).

          Terza Settimana – L’Umiltà di DIO

Il demonio dice “Eleverò il mio trono al di sopra degli astri di Dio” (Is 14,13). Egli risponde: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”» (Mt 11,29). Noi combattiamo e lottiamo con il coltello tra i denti pensando così di diventare potenti e grandi come Dio (Gen 3,5), cerchiamo di raggiungere le altezze divine per strappargli il suo segreto e raggiungere con le nostre forze l’albero della vita (Gen 3,24), mentre Dio desidera chinarsi fino a noi per farci dono di tutto se stesso. L’uomo, istigato dal maligno alla superbia, disobbedisce a Dio mangiando il frutto proibito (Gen 3,6), e proibito perché avvelenato, e di quel veleno Adamo ne farà amara esperienza quando verrà espulso dal paradiso terrestre (Gen 3,23). Mosso ancora dalla superbia l’uomo costruisce la Torre di Babele, simbolo di un esercizio di potere da parte dell’uomo svincolato dal rapporto con Dio; e anche qui paga le conseguenze delle sue scelte poco sagge con la “confusione” e dispersione dei popoli (Gen 11,1-9). Nella terra promessa il popolo eletto continuerà a disobbedire ai comandi del Signore, seguendo i propri consigli e progetti egoistici, pagandone il prezzo con l’esilio in terra straniera. Israele sperimenta sulla propria pelle che l’orgoglio ha una dimensione religiosa in quanto comporta la rottura del rapporto personale con Dio. Distaccandosi da Dio l’uomo tende ad affermare se stesso contro Dio e ad organizzare la propria esistenza nell’autosufficienza, lontano da Dio.
Il peccato poi, oltre alla rottura nel rapporto verticale, provoca disordini nei rapporti col prossimo. E a sua volta ogni mancanza contro il prossimo si rivela poi come vera e propria disobbedienza a Dio: “Contro di Te, contro Te solo ho peccato” (Sal 51,6). L’orgoglio, la superbia, l’arroganza hanno sempre fatto un pessimo servizio all’uomo. Ognuno di noi può rivedere la propria storia e contare le ferite che la superbia ha lasciato sulla sua carne e nella sua psiche. Quante battaglie a volte perché né l’una né l’altra si vuole sottomettere. Si vuol prevalere, vincere, sopraffare l’altro, umiliarlo. E una volta consumato il delitto con il disprezzo e l’odio vomitati con violenza sull’altro, ci si ritrova attorniati da persone sanguinanti e morenti, un’atmosfera da funerale che ci perseguiterà per molto tempo, e a braccetto col Nemico, ben stabiliti nel suo regno. E tutto stranamente in sintonia con una vita di preghiera, di consacrazione, di comunione col Signore: che mistero! Ma il Signore non si lascia prendere per il naso, e a suo tempo rivelerà il gioco funesto che alcuni stanno facendo e mostrerà il vero volto del padrone che ognuno sta servendo. Allora non si potrà più bleffare.
I bianchi coi bianchi, i neri coi neri, e i grigi nel Santo Purgatorio. Perché non ci lasciamo ammaestrare da Dio, carissime sorelle? Perché non dedicarsi anima e corpo a colpire la testa del serpente in noi che vuole comandare, primeggiare, giudicare, accusare l’altro ingiustamente, senza conoscere i fatti, e su due parole sentite qua e là imbastire un processo con pesanti capi d’accusa, spesso semplicemente inventati dall’invidia che dimora in noi. E poi l’immancabile condanna, e quella decisione interiore diabolica di parlare sempre e a tutti male di quella persona, calunniarla, volerla distruggere perché… Beh, se poi andiamo a vedere cosa c’è dentro il proprio cuore troveremo delle verità sconcertanti che stiamo tentando di sfuggire in tutti i modi: invidia (perché lei ha quel dono e non io?), gelosia (perché con quella si comporta così e invece con me…), complessi di inferiorità (siccome mi sento un nulla allora per sentirmi qualcuno devo abbassare gli altri, criticarli, calunniarli), odio allo stato puro (come sarei felice se tu non esistessi!), etc. Sono le “opere della carne”, luoghi infinitamente lontani dallo Spirito di Dio (Gal 5,19-22).
E così accade che non fermandomi spesso a riflettere in silenzio davanti a Dio per lasciar emergere queste verità, le quali possono essere dure da digerire ma che sono dentro di me e stanno gestendo satanicamente la mia vita, non potrò mai vederle in faccia e riconoscerle per quelle che sono e cercare così di eliminarle con l’aiuto di Dio. L’alternativa a questo lavoro di pulizia e di ricostruzione della nostra vita sulla Verità, è di continuare a condannare, calpestare e uccidere l’altro, quando se c’è qualcuno che ha un problema quella sei proprio tu e fin quando non lo risolvi con te stessa, davanti a Dio, aiutata da un buon direttore spirituale, rimarrai schiava dell’Accusatore (Ap 12,10), continuerai a vomitare su tutti e tutte, operando fedelmente a servizio del male, ma convinta di essere l’unica santa, mentre gli altri non sono che una grande “massa dannata”. Svegliati! (Ef 5,14). Convertiti! (Mc 1,151Cor 7,29). La storia non ti aspetta! E quando la porta è chiusa: è chiusa! (cfr Lc 13,24-30). Perché non mettersi alla scuola di Dio, di Gesù: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”; di Maria “Ha guardato all’umiltà della sua serva… innalza gli umili” (Lc 1,48.52), “Sono la serva del Signore” (Lc 1,38). L’umiltà è il punto di partenza dell’uomo. Partire da altrove è rischiare di non raggiungere la meta.

      Quarta SettimanaL’Umiltà di DIO

L’umiltà è riconoscimento della verità dell’uomo, è guardare alla realtà delle cose per quelle che sono: l’uomo è la creatura di Dio che nasce e muore in un batter d’occhio, ma che ha la possibilità di ricevere da Dio, nell’umiltà, una vita eterna di gioia con Lui. Attraverso l’umiltà l’uomo si apre alla chiamata e all’invito di Dio. Il contrario dell’umiltà è rimanere chiusi in se stessi, pieni solo di interessi personali, tesi unicamente a realizzare le proprie mete e ambizioni, e quindi incapaci di ascoltare una possibile voce di Dio. Gesù è il maestro di umiltà. Ce lo insegna nella mangiatoia di Betlemme, nella falegnameria di Nazaret, sulla groppa dell’asinello mentre entra in Gerusalemme (Mt 21,5), nella sala del piano superiore di quella casa di Gerusalemme dove lava i piedi ai suoi apostoli (Gv 13,1-20): “Che lezione di umiltà!” commenta Agostino.
Dio-Amore è necessariamente anche umiltà, servizio, svuotamento che fa posto all’altro. Gesù inizia i suoi insegnamenti delle Beatitudini con un primo scalino essenziale: “Beati i poveri in spirito”. Solo l’umile è sensibile alla verità della realtà, si accorge che tutto è dono (1Cor 4,7) e vive nella gratitudine verso Dio, e a sua volta questa gratitudine rafforza l’atteggiamento di umiltà. Dimenticare il fatto che tutto è dono di Dio ci conduce fuori dalla verità, nel regno della falsità sul cui trono siede la superbia. Bella l’immagine riportata da Luca al capitolo 18 versetti 9-14 in cui Gesù fotografa l’atteggiamento superbo e arrogante del fariseo e indica il pubblicano come modello. Infatti il pubblicano riconosce umilmente la verità del suo peccato, se ne pente e riceve il perdono dal Dio dell’amore, trionfando sul suo peccato: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. L’umiltà ha stretti legami con la fede. Questa se c’è ed è autentica, rende umili. L’umiltà quindi diventa segno di discernimento se uno vive o no con il Signore. La superbia, l’orgoglio, il giudizio facile, segnalano con chiarezza il dramma della distanza da Dio che il “credente” sta vivendo. San Tommaso mette l’umiltà al primo posto, “in quanto scaccia la superbia a cui Dio resiste e rende l’uomo sottomesso e aperto a ricevere l’infusione di grazia”. Al contrario, davanti all’orgoglioso e a colui che è pieno di sé, Dio “piange in segreto dinanzi alle loro superbie” (Ger 13,17).
È il “fallimento di Dio”, della sua grazia. Resta solo il dolore del Padre… E del figlio, quando si accorgerà cosa ha rifiutato e cosa ha scelto. Preghiamo, carissime Annunziatine, perché questo tempo di Avvento (= il Signore viene) e di Natale (= nascita) sia per noi un tempo di “nascita mistica” del Figlio di Dio nella nostra anima, come ci ricorda Don Alberione nella sua meditazione. “A che mi serve che Cristo è nato una volta da Maria se oggi non nasce in me attraverso la fede?” ha scritto Origene. E Cristo, che realizza in sé i due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo, ci comunica se stesso e questo amore “quando ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue nell’Eucarestia” ci dice il Papa nella sua omelia. E l’Agàpe, cioè “l’amore gratuito, l’aiuto disinteressato, la sofferenza condivisa” è il cuore del messaggio cristiano, è il cuore stesso di Dio che “è amore” (1Gv 4,8.16), come nota bene don Girlanda nel suo commento al capitolo 13 della 1ª lettera ai Corinzi. E tutto questo vissuto all’interno della nostra vocazione di Annunziatine nella Famiglia Paolina.

Fine

Le 4 Candele 

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